mercoledì 5 giugno 2013

Cronaca di oggi. Muore un bimbo, dimenticato in auto per otto ore.

Piacenza.
Un luogo come tanti altri, Andrea, un padre che, come sempre, si reca prima all'asilo per accompagnare il figlio Luca, di due anni, e dopo al lavoro.
Ma non oggi, perché oggi si reca direttamente al lavoro dimenticando il figlio in auto per ben otto ore.
Quando si rende conto della propria dimenticanza è troppo tardi, perché il bambino giace morto nell'auto.


Prima di lasciarci andare in considerazioni scontate circa i genitori che sempre più spesso delegano le proprie responsabilità ad altre figure (come nonni o baby-sitter), l'accettazione del proprio ruolo di padre da parte di Andrea, in interpretazioni freudiane che riconducono ad un complesso di Edipo irrisolto, o ai ritmi lavorativi sempre più stressanti, ci prevengono gli psicologi dicendo che prima di formulare tali interpretazioni bisogna prima conoscere la coppia in questione, il proprio rapporto coniugale, il rapporto di costoro coi propri genitori, eccetera eccetera eccetera. Inoltre, a frenare ogni nostra morbosa curiosità circa lo stato di salute mentale del padre, che probabilmente voleva rivalersi di una lite con la moglie, intervengono le testimonianze di amici e parenti della famiglia, che sostenevano che la coppia andava d'accordo, i doveri coniugali erano equamente distribuiti, e che Andrea era solito accompagnare il bimbo all'asilo, e che questi veniva poi riaccompagnato a casa dal nonno.

Allora che voglio? ...vi chiederete (sempre che ci sia qualcuno che mi legge ancora).

Ciò che mi turba è che il bambino sia rimasto per ben otto ore dentro quella macchina, parcheggiata probabilmente in un parcheggio aziendale, o in mezzo alla strada, probabilmente piangendo, addirittura chiamando la mamma o il papà, senza che  nessuno notasse la sua presenza.
Nessuno.
Io penso che questo sia un sintomo (preoccupante) dei nostri tempi. Siamo troppo concentrati su noi stessi, sui nostri problemi, sull'evitare i problemi o le perdite di tempo che avremmo interagendo con gli altri, da preferire che un bambino muoia asfissiato dentro un'automobile?
E' possibile che quest'auto fosse parcheggiata in un deserto dove non si trovasse a passare nessuno per ben otto ore? O più probabilmente i passanti erano troppo presi dai propri impegni, troppo spinti dalla fretta, che non hanno ritenuto opportuno chiamare il padre (se conoscevano l'auto), il custode del parcheggio, un vigile urbano, un poliziotto, un carabiniere, un pompiere...???
Troppo facile dire: "Beh, mica posso prendermi io la responsabilità di un padre che non sa compiere il proprio dovere!".

Io penso che se c'è un senso nella nostra società (che ci ostiniamo ancora a voler definire civile), sia proprio quello dell'interazione con gli altri: non esiste società senza l'interazione, e ciò è vero per la politica e l'economia, ma è soprattutto vero perché siamo umani, e l'uomo ha bisogno degli altri.
Troppo spesso ci vengono propinati modelli di autosufficienza, di arrivismo a tutti i costi, che si rivelano mendaci perché ci lasciano in una solitudine senza eguali: la solitudine di chi pensa che essere deboli, chiedere aiuto sia un sinonimo di fallimento.
Eppure i poveri ci contraddicono: essi non hanno timore di chiedere, di insistere, di manifestare la propria debolezza agli altri, e proprio per questo, quando trovano qualcuno che gli doni amore prima ancora che beni materiali, gli donano il proprio cuore.
E' questo che mi ha insegnato in 15 anni (da quando la conosco e frequento) la Comunità di Sant'Egidio, e ancora oggi scopro che è bello camminare insieme, perché noi, con le nostre debolezze, messi insieme costituiamo una forza che ci consente di superare (o perlomeno di sopportare) le difficoltà che inevitabilmente incontriamo durante la nostra vita, e che tramite l'amore che gratuitamente ci dona, ci consente di riconoscere in coloro che incontriamo quotidianamente (per strada, al lavoro, in palestra...) delle persone come noi, principalmente bisognose d'amore.

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