lunedì 19 settembre 2011

Assistenza sociale od assistenzialismo?

Sabato mattina.
Mi incammino verso la sede della Comunità di Sant'Egidio e già dal marciapiede sento il chiacchiericcio delle persone all'interno.
Gente affacciata alle finestre, gente che fa capolino dall'esterno per vedere cosa succede: una gran confusione.

Ogni quindici giorni questa è la consuetudine: i poveri della città vengono da ogni quartiere per ritirare i pacchi spesa con alcuni generi di prima necessità.
Il salottino del ricevimento è diviso a metà: da un lato la distribuzione vera e propria, dall'altro si fa la conoscenza delle persone che arrivano per la prima volta, le quali si raccontano, descrivono la propria situazione familiare, le proprie vicissitudini sentimentali, lavorative - in modo da tracciare un profilo personalizzato delle esigenze di ognuno - quindi ricevono il proprio pacco e vengono invitate a tornare quindici giorni dopo.


Ascoltando i vari racconti, sentendo i discorsi in anticamera, ad un tratto sono stata colta da un dubbio: "E se tutto ciò non fosse la soluzione? Se questo fosse solamente un modo per scaricarmi la coscienza?".

Tempo fa mi sono trovata a riflettere sull'impigrimento delle classi meno abbienti che, sapendo di potersi adagiare sul sostegno fornito dai servizi sociali, rinunciano a cercare un lavoro, a diventare attori e non spettatori delle proprie vite.
E ciò è più frequente per coloro che sono nati e cresciuti in Italia.
D'altro canto, il discorso prende la piega diametralmente opposta quando si parla degli stranieri: costoro, sapendo che senza un lavoro potrebbero perdere i diritti conquistati a fatica, si danno da fare in tutti i modi, spesso spronando i propri figli a studiare, ad integrarsi, per migliorare il proprio tenore di vita.

Di fronte a queste due reazioni la mia domanda è se nell'ambito dei servizi sociali ci si stia muovendo nella giusta direzione, o se forse non ci si debba muovere più per l'inserimento dei poveri nel mondo del lavoro (ognuno secondo le proprie capacità), così da renderli parte attiva della società (in modo che l'economia giri sul serio) e, qualora i proventi del proprio lavoro non consentissero un tenore di vita dignitoso, allora integrarli con dei sussidi.

1 commento:

festina_lente ha detto...

Mi chiedo spesso anch'io la stessa cosa. Forse è vero che per qualcuno l'idea di poter avere comunque un paracadute è un bel disincentivo al darsi da fare.