giovedì 18 luglio 2013

Ciò che pretendiamo dagli altri e da noi stessi

Oggi parlavo con un mio simpaticissimo collega "furlano" (mi piace scherzare con gli "svizzeri de' noantri") degli stereotipi caratteriali regionali dell'Italia, facendomi notare che in Friuli è molto comune che al minimo errore si taglino i ponti con la persona che "ha sgarrato" con noi; d'altro canto io gli feci notare che in Sicilia (regione da cui provengo) è molto comune che, al verificarsi di un diverbio fra due "contendenti", addirittura sono le famiglie a sentirsi chiamate in causa generando una "faida" che può durare anche per generazioni (a seconda della lungimiranza e del quoziente intellettivo dei vari componenti, aggiungerei io).

In linea di massima ci crediamo tutti talmente rigorosi da non ammettere il minimo errore da parte degli altri.

Diciamo spesso (il più delle volte senza rendercene conto): "Sì, io sono socievole: parlo con tutti, rido, scherzo, se serve qualcosa sono disponibile ma al minimo sgarro taglio completamente i ponti!"

E' vero, esercitiamo sugli altri il rigore che su di noi considereremmo eccessivo.
Dove sono la comprensione, la solidarietà, la pietà, la compassione (intesa nella sua etimologia greca), che fanno di un essere umano un Uomo?
Dov'è la pazienza che vorremmo venisse esercitata nei nostri confronti nel momento in cui commettiamo un errore?

Siamo duri con gli altri, ma eccessivamente comprensivi nei nostri confronti.

Recentemente (ma mica tanto, ormai) ho avuto un diverbio con dei familiari.
Il diverbio (scatenatosi principalmente per ragioni di orgoglio, una futilità tanto inutile quanto nociva, se portata agli estremi) si è verificato in un periodo di intenso stress per tutti i "partecipanti" allo stesso.

Credete che si sia advenuti ad un compromesso?
Credete che si sia riusciti a dialogare per ascoltare, sia da una parte che dall'altra, quali fossero state le ragioni della lite?

No.

Chi ha commesso delle azioni che non tenessero conto della sensibilità degli altri è rimasto dell'opinione che le proprie azioni fossero bazzecole (nonostante ci sia stato qualcuno che abbia sofferto a causa delle stesse).
Chi ha parlato impulsivamente in preda all'ira, senza considerare che i propri modi avrebbero potuto ferire l'orgoglio e la dignità altrui non ha avuto la possibilità di esprimere in modo più civile le proprie ragioni.

E tutti siamo rimasti così.
Vittime del nostro orgoglio (siamo talmente orgoGLIONI a volte...), forse dispiaciuti per il male che abbiamo arrecato a persone cui volevamo bene, per lo squarcio che abbiamo creato ponendo in una posizione insostenibile chi era estraneo ai fatti, ma non si può schierare né da una parte, né dall'altra.

Ne vale proprio la pena?

Penso all'entusiasmo che da ogni dove suscita il nuovo Papa, Francesco, che con la propria umiltà parla al cuore di tutti.
Forse non è in situazioni come questa che dovremmo applicare quanto ci insegna il Santo di cui egli porta il nome?
"è perdonando che si è perdonati,
morendo che si risuscita a vita nuova"

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